La fragilità come dimensione dell'essere
- Sophia Giacchi
- May 8, 2018
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Nel mondo del plus-potenziamento, nel mondo mercato, nel mondo diventato azienda, nel mondo di oggi, cosa è la fragilità? In questo sistema che noi stessi abbiamo eretto sull'unico valore computante dell'efficienza, nella società iper-valutante che viviamo, la fragilità non solo non è accettata, ma innanzitutto non è compresa.
Nel momento in cui si travisa il senso della fragilità e lo si assimila ad una mancanza di potenza, quando si possono usare come sinonimi "fragile" e "debole", ecco che in quel momento ha vinto ancora una volta il circolo vizioso della potenza che chiede in continuazione all'uomo di non essere uomo per potersi affermare.
Oggi all'uomo per stare al mondo si chiede di essere infallibile perché non c'è tempo di correggere il tiro a chi ha appena imparato a tenere l'arco. Allora il neofita incerto è sempre meno uomo di quello che invece scaglia il dardo sempre al centro dell'obiettivo. Il sistema corre e non ha tempo da concedere all'uomo, lo si vuole pronto, non si ammettono errori, deficienze. In un contesto così delineato ecco che la fragilità, una volta mal concepita, viene ripudiata e allontanata perché accusata di essere marchio di infamia.
Ma in un rapporto dell'uomo con se stesso non ammalato come quello di oggi, l'uomo non può non accorgersi del tratto costitutivo del suo essere, e cioè, l'esser fragile. Se l'uomo non lo fosse, smetterebbe di esser uomo. Fragilità è infatti capacità di infrangersi, e infrangendosi di lasciarsi penetrare dalla luce del senso delle cose e della vita. Non senza sofferenza avviene questa frattura, ma il dolore avvicina l'anima al vero. Quando custodiamo la fragilità come vicinanza all'essere mortale dell'uomo, ecco che conosciamo, o riconosciamo, la nostra piena essenza.
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